Era la prima volta che ti relazionavi ad un fondo così recente?
Sì. Ed è avvenuto contemporaneamente ad una serie di incontri, eventi, discorsi che mi hanno fatto capire come, quasi improvvisamente, almeno per me, gli anni ’90 siano diventati Storia.
La risposta arriva da Cora Benetti, archivista all’Archivio di storia delle Donne. Sta parlando di un fondo che è arrivato il 25 gennaio del 2023. È arrivato “disordinato”, come recita l’inventario sempre compilato da Cora. Le carte, le brochure, le pagine di appunti inventariati dall’archivista appartengono a Franca Carzedda; è stata lei stessa a donare la sua storia.
Franca Carzedda è una femminista e attivista, presente in molti dei movimenti per la lotta all’abitare che – tra gli anni Novanta e Duemila – innervavano Bologna. La vita di Carzedda si annoda a quella di diversi collettivi e la sua firma torna spesso a marchiare comunicati e progetti editoriali di ambiti differenti, ma sempre di natura militante.
L’inventario recita:
La documentazione dà conto del percorso politico di Carzedda, accompagnandola nella fase più legata agli spazi universitari (in cui attraversa ad esempio il 36 occupato di via Zamboni) per poi vederla approdare nell’importante occupazione dello spazio femminista di “Atlantide”, nel cassero di Porta Santo Stefano, a partire dal 1998. La realtà di Atlantide risulta centrale nella militanza politica di Carzedda fino al 2014 (lo spazio sarà sgomberato ad ottobre 2015).
C’è però un punto più caldo di altri: quanto più ci si avvicina alla storia e alle vicende del collettivo Clitoristrix, tanto più la memoria si fa intima. Nell’ottobre del 1997, Carzedda è una delle fondatrici del collettivo. Assieme a lei ci sono anche amiche e compagne provenienti da gruppi femministi separatisti.
Cora, esiste un documento fondativo di Clitoristrix?
No. È come se l’attività del collettivo diventasse più sistematica nel momento in cui entrò ad Atlantide nel 1998, mentre l’anno precedente è più nebuloso.
Per la verità, Clitoristrix porta avanti quel che un altro collettivo, sciolto appena l’anno precedente, aveva contribuito a formare. Si trattava di Lilith luna nera, che era stato attivo dal ’93 al ’96 e che aveva abitato gli spazi dell’università e si era mosso nei corridoi del “36 occupato”. Gli spazi dell’università offriranno continuità spaziale a questo passaggio di testimone:
Gli incontri del collettivo Clitoristrix avvengono, nella sua fase iniziale, in case private o in aule studio (in particolare nell’aula studio cosiddetta “l’obitorio” collocata in via Irnerio), il collettivo si sedimenta poi nell’occupazione di Atlantide, nel cassero di Porta Santo Stefano, a partire dal 1998.
Poi ci sono snodi ulteriori. Parte di Clitoristrix confluisce in un altro collettivo, “Quelle che non ci stanno”, alle soglie del 2000 – Cora specifica: “Era un gruppo con una forte vocazione, nato a seguito di un caso di violenza di genere e molto concentrato sul tema”. Senza contare i contatti con altre associazioni tra le quali il Cassero e Orlando stesso.
Un attimo però. Tutto è ancora molto fresco: preso di petto il fascicolo resiste ad una interpretazione lineare. Rimbalza sul piano esistenziale, che si presta più all’esperienza che alla lettura. È qui che si inserisce il lavoro dell’archivio: creare una struttura in cui disporre i materiali di una vita, farlo in modo che questi non “passino”. Leggiamo sempre dall’inventario:
La documentazione è divisa in quattro serie.
Si è deciso di dedicare la prima al collettivo “Clitoristrix” per dare conto dell’importanza che il gruppo ebbe nell’esperienza politica di Carzedda. E’ in “Clitoristrix” che Carzedda esprime al massimo la sua militanza […].
Nella seconda serie “Altri gruppi e collettivi femministi bolognesi” trovano spazio materiali che dagli anni Novanta testimoniano le prime militanze di Carzedda (ad esempio nel collettivo universitario “Lilith Luna nera”) e tengono traccia degli spazi occupati da lei attraversati, fino ad arrivare agli anni2000 con l’importante collettivo “Quelle che non ci stanno” […]
Nella terza serie si raggruppa la documentazione relativa a gruppi e collettivi femministi nazionali e internazionali, a testimonianza della partecipazione di Franca ad eventi e iniziative di carattere extra-cittadino.
L’ultima e quarta serie raccoglie il materiale personale e di studio che non ha trovato spazio nelle precedenti, appunti e scambi di mail non meglio inquadrabili nel percorso di militanza di Carzedda. Ciascuna serie è al suo interno riordinata cronologicamente con il criterio delle serie aperte.
Non è però solo una questione di ordine interno. Nell’inventario si fa riferimento anche ad alcune interviste.
Con chi hai parlato per ricostruire il contesto?
Ho intervistato due amiche e compagne di Carzedda: Giulia Galli ed Elena Lolli. L’aiuto di Lolli è stato fondamentale: abbiamo creato insieme una linea del tempo che ricostruisse la cronologia di collettivi e occupazioni fra gli anni ’90 e i primi 2000. Il fondo Carzedda dialoga profondamente con il fondo Gaudiano, sempre conservato qui in archivio, che mi ha fornito molti dettagli sugli eventi, gli spazi attraversati dal momento femminista bolognese di fine secolo. Gaudiano ha raccolto molti articoli di giornale inerenti alle occupazioni cittadine.
Da un fascicolo del 2004 fuoriesce il manifesto di Rivolta Femminile. Gli anni Settanta, Carla Lonzi e la linea separatista continuano ad essere cemento e certame anche delle molte esperienze politiche intercettate – quando non originate – da Carzedda. Questi riferimenti però non servono solo a ricostruire un ordine storico degli eventi, ma permettono ad una certa eterodossia della visione di farsi largo nell’interpretazione dei materiali. In termini meno lirici, l’eredità degli anni Settanta ispira letture del fondo incentrate sulle pratiche e le tecniche con cui veniva coniato il lessico politico. Cora quando parla dei verbali delle assemblee fa riferimento ad un tono diffusamente autocoscenziale, e qui il riferimento è lampante. Ma in pubblicazioni come Sessualmente sessuando. Sesso facendo… di sesso parlando del 2004 si assiste anche a lievi variazioni sul tema: si tratta del ricorso alle auto-inchieste.
Non è così, Cora?
Sì, la pratica delle auto-inchieste è sicuramente interessante e rilevante nella storia del collettivo, quindi sì, è importante che venga nominata quando si parla di questo fondo. In tema di inchieste, però volevo aggiungere che recentemente abbiamo acquisito e riversato in digitale alcune cassette registrate ad inizio anni 2000, più precisamente tra il 2002 e il 2003, in cui le ragazze di Clitoristrix compiono alcune inchieste sul tema del sesso-piacere-corpo. Lo fanno in piazza, in occasione dell’8 marzo. I filmati saranno poi proiettati nel 2007 nel corso di una festa ad Atlantide. Ah, e un’altra tecnica, anche se più grafica che retorica, che viene utilizzata da parte del collettivo è una sorta di “bricolage”. Lo vediamo ad esempio ne “La Bollettina”, pubblicazione autoprodotta dal collettivo Clitoristrix. Il risultato finale dà una buona idea dei temi a cui il gruppo si interessava.
La ricostruzione del fondo, così come della storia legata a questi documenti è ancora in corso. Manca ad esempio un’intervista esaustiva a Carzedda stessa. O meglio ancora sarebbe fare come dice Cora: “Mi piacerebbe in realtà fare un’intervista di gruppo con alcune delle femministe del gruppo”. E la si farà. Progetti futuri a parte, l’archivio di Franca Carzedda è ora a libera consultazione presso l’Archivio di Storia delle Donne. Con gli occhi di Carzedda, si vede una Bologna recente e già lontana; spostando la storia sul piano psicologico potremmo parlare dell’immagine che ne deriva come di una manifestazione perturbante.
Se invece chiedessimo a Cora che Bologna ha intravisto dal suo riordino…
La Bologna di Carzedda è quella delle tantissime occupazioni, alcune della durata di pochi giorni, altre di anni, alcune femministe separatiste, altre attraversate da collettivi diversi. È una Bologna che non esiste più. Gli spazi di cui l’archivio di Carzedda parla sono stati sgomberati, oppure hanno cambiato totalmente la loro natura, come il TPO. Io ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare dal 2013 al 2015 uno dei luoghi protagonisti della vita di Carzedda e del collettivo Clitoristrix, ovvero Atlantide. Ma è uno spazio che è stato sgomberato ed è chiuso da dieci anni ormai. La pratica dell’occupazione era all’ordine del giorno negli anni dell’attivismo politico di Carzedda – e lo vediamo molto bene anche nelle carte di un altro fondo conservato nel nostro archivio, quello di Anna Gaudiano, amica e compagna politica di Carzedda- mentre oggi appare quasi impossibile. Forse una traccia della Bologna di quegli anni è rimasta nella compagine di gruppi, gruppetti, collettivi che ancora esistono in città e che di quegli anni e degli anni ancora precedenti mantengono le definizioni di “disobba” o “autonomi”…. Alcuni sono anche collettivi femministi, non separatisti in genere, tranne gruppi come “lesbiche Bologna”, ma non mi sentirei di ricollegarli in maniera diretta all’esperienza di Carzedda. All’esperienza queer di Atlantide, forse, ma non agli anni di Clitoristrix.
L’Archivio ha fatto la sua parte. Ora sta alla passione di ognuna tirare fuori, leggere sinotticamente o ripercorrere storie al contrario.
Grazie Cora per questa chiacchierata…
Figurati.
E anche per il tuo lavoro
[Se ne va].