Da un fondo in via di catalogazione dell’Archivio di storia delle Donne di Bologna – il che significa faldoni con etichette ancora mute – esce una fotocopia. È una pagina di giornale, precisamente de La Zanzara, il giornale studentesco del liceo Parini di Milano. Cosa pensano le ragazze d’oggi: questo il titolo dell’articolo riprodotto. L’“oggi” in questione, nel frattempo, ha preso polvere: era il febbraio del 1966. L’inchiesta porta tre firme: Marco Sassano, Claudia Beltramo Ceppi e Marco De Poli.
Le domande sono suddivise per temi: l’educazione familiare, il sesso e la società, il problema morale e religioso… Sono due pagine. Tre se si conta anche l’editoriale di presentazione in copertina. Tanto basta per sollevare l’indignazione prima della componente cattolica del liceo – i gruppi di Gioventù Studentesca – poi della politica. Marco Sassano, Claudia Beltramo Ceppi e Marco De Poli finiscono in tribunale, sotto processo con l’accusa di «oscenità a mezzo stampa e pubblicazione clandestina». Vengono sottoposti a controlli fisici, perquisizioni corporali per produrre una “scheda minorile medica” in ottemperanza – fatalità – ad una circolare di epoca fascista. Solo Beltramo Ceppi si sottrarrà, innescando la rilettura e poi l’annullamento della stessa circolare. Le proteste studentesche e intellettuali (tra gli altri si schiera Giangiacomo Feltrinelli) contribuiscono a fare risultare il processo in un nulla di fatto.
Il liceo Parini oggi ha un’altra rivista: Zabaione. Nel marzo del 2024 ripubblicano l’inchiesta. Non solo, la arricchiscono con un nuovo focus sulla contemporaneità…e le ragazze del 2024? e con un’intervista a Claudia Beltramo Ceppi. Le sue parole, più delle ricostruzioni storiografiche, danno l’idea del prezzo che (l’unica) ragazza del gruppo ha dovuto pagare all’indomani del processo.
Al netto di quel che si può fare con questo episodio – e lo si può considerare come prodromo del Sessantotto; o come consolidamento di una coscienza femminista già sparsa per l’aria grigia di Milano (è dello stesso anno il manifesto del gruppo femminista Demau) – ciò che non si deve è rubricarlo a esito di un passato conservatore e censorio. Come dimostrano le risposte delle ragazze degli anni Sessanta e dei nostri, molto rimane immutato: la richiesta di un’educazione sessuale, per esempio, è ancora senza risposta.
La fotocopia ritorna nel faldone che deve essere numerato, nominato, trasformato in storia. Qualcosa però rimane fuori. Forse è l’idea rabbiosa che il tempo non passi abbastanza in fretta da rendere il passato Preistoria; forse è lo scocciante tono glorioso con il quale i giornali di oggi lodano le proteste di ieri (continuando a fraintendere quelle di oggi). O forse è qualcosa di bello: la consapevolezza storica di un gruppo di ragazze e ragazzi liceali che permette loro di creare fonti preziose. Non sapremmo dirlo con certezza.